L’11 giugno a Milano, si è svolto il Seminario GfK Eurisko Donne e Uomini 2014: un’analisi “a più voci” – femminili e maschili – che ha utilizzato i dati di Sinottica, le analisi di TSSP (raccolte annualmente) e gli scenari internazionali monitorati da GfK Roper Report. In special modo, sono state considerate le scelte di acquisto/largo consumo, di salute/benessere e di gestione del denaro/risparmio.

I risultati emersi –  in relazione alla differenza di valori e alla modalità decisionale fra i due generi – meritano di essere presi in esame.

Le donne sono più attente al benessere, più impegnate nella famiglia e nelle relazioni personali/affettive, più responsabilizzate e con più senso del dovere davanti alla crisi, più sensibili al sociale e all’ambiente, più coinvolte nella cultura e nella crescita personale. Mentre gli uomini ci appaiono più centrati sul successo personale e la ricerca del piacere. Inoltre, nonostante in Italia le donne non abbiamo certo “vita facile”, si dimostrano comunque più esplorative, solidali e orientate all’autorealizzazione rispetto alle “colleghe” europee.

La categoria utilizzata per questa innovativa e trasformativa carica femminile – che fa ben sperare per un’uscita sostenibile dalla crisi e una ripartenza culturale, oltre che economica – è stata She-economy, quindi crescita del genere femminile nel business, nella politica e nell’educazione.

Le donne hanno uno sguardo più a lungo termine e, soprattutto, un approccio più inclusivo. Da ciò emerge che la figura maschile si trova “in difficoltà”, spiazzata, incapace di ridisegnare un progetto insieme al nuovo soggetto protagonista: l’uomo, in sostanza, perdendo una certa centralità che investe campi diversi, adesso, non riesce a ridiscutere, negoziare e riorganizzare sia lo spazio pubblico che quello privato. In un certo senso, il cambiamento dei ruoli ha determinato una crisi di identità. Probabilmente, la progettazione di questa nuova modalità di interazione uomo/donna dovrà passare per vie “alternative”, diverse e nuove come la teatralizzazione del corpo, la regressione ludica, l’etica delle emozioni, la passione della craftsmanship; ma, in particolar modo, dovrà basarsi su un gender balance che determini interscambio – di ruolo e di progetti – senza competizione.

Stiamo, quindi, evolvendo verso valori femminili.

Questa evidenza sembra imporsi, emergere, più di ogni altra; però, la domanda che possiamo – e magari dobbiamo – farci è una: ma le donne, sempre più impegnate e preoccupate, non saranno costrette a ridimensionare eccessivamente il ruolo di madri con, conseguente, ritorno negativo sulla società tutta? Sicuramente, la situazione sarebbe meglio gestibile, “ammortizzabile”, se ci fossero strutture di sostegno, un solido welfare; cose, insomma, che in Italia, almeno adesso, ancora non esistono e di cui si sente un bisogno urgente.

Abbiamo imboccato la strada giusta o siamo sempre al solito cane che si morde la coda?