Recentemente, le due giornaliste Katty Kay e Claire Shipman hanno pubblicato un testo dal titolo The Confidence Code: il libro affronta in maniera originale una tematica importante e attuale ma non ancora trattata in maniera tanto approfondita e precisa da poter produrre una consapevolezza capace di cambiare lo stato delle cose. La tematica in questione è la carenza di autostima che caratterizza il genere femminile rispetto a quello maschile; una mancanza che penalizza le donne nei diversi ambiti della vita. Forse, più che bassa, dovremmo definirla “facilmente attaccabile”
Sul deficit di confidence femminile esistono precedenti studi e, a riguardo, interessante risulta Autostima al Femminile di Maria Menditto (di cui vi abbiamo, in passato, proposto la nostra recensione): l’autrice, psicologa e formatrice, ci spiega come l’autostima sia la giusta mediazione fra l’idea che abbiamo di noi e quello che realmente siamo; uomini e donne individuano il senso di sé in modo diverso e, nello specifico, il percorso maschile sarebbe più rapido mentre quello femminile più faticoso.
Il carattere innovativo di confidence code è rappresentato dal forte accento posto sul rapporto fra autostima e azione: autostima non come senso del proprio valore – una sorta di caratteristica data una volta e per tutte che si può solo, eventualmente, coltivare – ma anche e soprattutto come motore che determina il nostro agire – spingendoci a fare o, viceversa, paralizzandoci – e che può essere costruita. Confidence al pari di una scelta consapevole.
Il nostro livello di autostima, inoltre, condiziona molte altre caratteristiche quali la resilienza, l’assertività, la tendenza all’ottimismo, la propensione ad avvertire eccessivi sensi di colpa, la percezione del fallimento, la gestione del conflitto, la modalità con cui affrontiamo i rischi e altro ancora.Tutti fattori che influiscono enormemente sulle carriere.
I livelli di autostima sono alla base del fenomeno che prende il nome di “sticky floor”, pavimento appiccicoso (una base “vischiosa” che imponiamo a noi stesse e da cui non riusciamo ad allontanarci). Quest’ultimo – insieme al cosiddetto “soffitto di cristallo” (una certa cultura ancora sessista impregnata di forti pregiudizi) – danneggiano le carriere femminili.
Sheryl Sandberg, in Facciamoci avanti (di cui, già, vi abbiamo proposto la nostra recensione), conferma quanto detto su attraverso il racconto della sua personale esperienza: Sheryl, oggi Direttore Operativo di Facebook, ci narra di come, durante la sua crescita professionale, più volte, oltre che inadeguata a certi ruoli, si sia sentita solamente fortunata e piena di sensi di colpa. La Sandberg ha ricoperto e ricopre incarichi di responsabilità perché ne ha le capacità, però, lei stessa ha faticato a credere che le cose stessero realmente così dato che, per una sorta di sindrome dell’impostora, non si percepiva all’altezza. Sheryl è stata in grado di affrontare questo “limite” nel giudicare sé e il suo operato; però, non tutte le donne riescono in questa impresa e, conseguentemente, rinunciano davanti alla possibilità di realizzare il proprio potenziale e i propri desideri, sentendosi poi frustrate, insoddisfatte e pentite delle scelte fatte.
Louann Brizendine, ne Il Cervello delle donne e ne Il cervello dei maschi (testo di cui vi abbiamo, già, proposta la nostra recensione), espone in maniera piuttosto chiara come, fra i due sessi, esistano delle differenze “di partenza” che, quindi, non possono essere semplicemente ascritte a condizionamenti culturali. Certamente, l’educazione gioca un ruolo importante ma – in un certo senso – interviene in un secondo tempo ad enfatizzare (sovente fraintendendo) delle diversità che, di base, esistono, possono essere rintracciate già nello sviluppo fetale e che poi si fanno sempre più esplicite nel corso dell’esistenza sotto l’influenza del fattore ormonale: il cervello umano, fin dall’utero, comincia a svilupparsi in modo diverso a seconda del genere del nascituro a causa del testosterone, già a partire dall’ottava settimana di gestazione. Le femmine non subiscono l’afflusso del testosterone nell’utero, che restringe i centri di controllo della comunicazione, dell’osservazione e dell’elaborazione delle emozioni; di conseguenza, alla nascita, presenteranno diverse caratteristiche, come ad esempio una più frequente ricerca del contatto visivo con i volti familiari. Anche questo elemento apparentemente banale, in realtà, non è scevro di implicazioni, infatti, il maggior sviluppo femminile dei circuiti cerebrali destinati a decifrare le espressione dei visi e il tono della voce si trasforma, nel tempo, nella ricerca dell’approvazione sociale, un fattore intimamente collegato all’autostima. Vorrei però sottolineare come la base biologica di certi fenomeni non indichi la loro immutabilità. Concludiamo questo post, infatti, sottolienando come il cervello sia plastico, quindi, si può lavorare per modellarlo secondo la nostra volontà, entro dei limiti comunque molto ampi; quindi, donne, cominciamo a darci da fare!