Oggi – nella consueta rubrica in cui vi proponiamo le nostre interviste fatte a donne che, per un motivo o per un altro, abbiamo definito “speciali”, “in gamba” – vi presentiamo Natalia Borri, la Presidentessa e Direttrice Creativa di The Ad Store Italia – agenzia pubblicitaria indipendente con diverse sedi nel mondo – e, da poco, anche di The Ad Store New York (sede storica del gruppo da un ventennio).
LeaderShe, poco prima della pausa natalizia, è stata ospite di The Ad Store a Parma – realtà in cui si respira un’atmosfera giovane, creativa e molto gradevole – e, per voi, ha fatto qualche domanda a Natalia, da cui – a nostro avviso – vengono fuori interessanti spunti, non solo inerenti la condizione professionale (la condizione professionale femminile), ma anche l’essere donna a 360°… l‘essere donna, creativa e manager insieme, appunto…l’importanza di “ascoltarsi” per capirsi e non “farsi sempre la guerra”, la differenza come fonte di arricchimento, la necessità di essere in pace con se stessi per poter lavorare meglio con gli altri, il bisogno di ritagliarsi e mantenere spazi privati per “ricaricarsi”, la bellezza di certe caratteristiche femminili (prensenti anche in alcuni uomini) e molto altro!
Buona lettura!
1. Natalia, in primi luogo, vorrei chiederti se – in base alla tua esperienza – il cammino professionale femminile è più complicato di quello maschile?
Sì, lo è; prima ancora che per le battaglie esterne, per quelle interne. Una donna che cerca il suo spazio di crescita e responsabilità nel lavoro, si trova a fare i conti prima di tutto con se stessa. Nella mia esperienza professionale, le battaglie più difficili sono state – e sono ancora – quelle che combatto per trovare e gestire un equilibrio fra il mio carattere, i miei sogni e i miei bisogni; anzi, in primis, per riconoscerli e farli emerge in modo sano e giusto.
Per ottenere soddisfazioni professionali e sociali, troppo spesso, ho dovuto soffocare certi istinti “femminili” e costruirmi un modo di fare “maschile”: è qualcosa che, se non ti viene proprio imposto, ti viene comunque “suggerito”; così, ti ritrovi a “far tacere” certi tuoi aspetti, a volte inconsapevolmente, come è successo a me; e solo poi – quando tiri le somme guardandoti indietro – quelle che credevi fossero state delle scelte, in realtà si rivelano come delle rinunce belle e buone. Io mi rendo conto di essere stata una privilegiata, ma ripensando alla mia vita è evidente che, avendo voluto impegnarmi nel lavoro e nella carriera, forse non è stato casuale che non abbia avuto figli e che “tardi” abbia trovato un equilibrio nel privato, costruendomi una famiglia (con un cane 🙂 ). Allora, credevo che la cosa non mi pesasse – o, meglio, non ci pensavo neppure, ero convinta che fosse giusto e naturale così – ma, oggi, mi rendo conto che si è trattato anche di una scelta “forzata”, in un certo senso.
2. Hai accennato alla tua vita privata, così vorrei domandarti qual è la ricetta per conciliare appunto vita privata e vita professionale.
Non esiste una ricetta unica perché ritengo che ognuno crei la sua in base al proprio carattere e al proprio vissuto. Io, per esempio, – come dicevo – ci ho messo anni a trovare il mio equilibrio: per molto tempo, le tensioni professionali hanno condizionato tutto il resto; oggi, le cose sono cambiate e rispetto la “regola dello staccare”, quindi, nei weekend, la sera, in vacanza o comunque quando sono con la mia famiglia e i miei amici, lascio da parte il lavoro. Riscoprire l’importanza e la meraviglia del fine settimana – che oggi per me è sacro – è stata una delle più belle conquiste della mia vita! Quest’equilibrio, questa serenità, hanno fatto bene non solo alla mia vita ma addirittura al mio lavoro, specie nel ruolo di “capo”: una vita privata felice ti libera da possibili frustrazioni e insoddisfazioni, rendendoti più facili anche i rapporti con i collaboratori e i colleghi.
Nel mio ruolo di creativa, invece, è diverso: lì la separazione non c’è, lì non si stacca mai, potremmo dire. Ricordo di averlo capito nettamente una sera di circa vent’anni fa: ero a teatro e non mi sentivo del tutto serena come avrei dovuto essere perché cercavo da un po’ l’idea giusta per un lavoro importante che dovevo presentare da lì a pochi giorni. Ebbene, durante lo spettacolo, a cui all’inizio neppure volevo andare, “l’ispirazione” è arrivata e, da lì, il progetto poi realizzato (si trattava di uno spot Aprilia, quello con testimonial le Spice Girls)!
3. Natalia, cosa ne pensi del binomio creatività/femminilità? Mi spiego meglio: credi che l’essere donna, a riguardo, sia un’opportunità? Nella tua professione, senti che esistono delle caratteristiche riconducibili al tuo genere?
La donna – quando non si assimila a un modello maschile di riferimento simbolico per svolgere compiti e ruoli che non le sono concessi per “diritto” storico (attualmente il panorama sta cambiando ma è un processo lungo) – mette in campo qualità che sono profondamente connaturate al suo genere: la relazione, l’incapacità strutturale della generalizzazione, la valorizzazione, l’accoglienza, la mediazione, la cura dei particolari, la creatività utile, la capacità attiva di coinvolgere e di portare a termine un impegno.
4. The Ad Store è una realtà internazionale, quindi il suo operato si inserisce in un contesto globale in cui la pluralità – la diversità nell’accezione più ampia del termine (di cui quella di gender è solo una, forse la fondante) – è un elemento dominante. Alla luce di tutto questo, vorrei chiederti cosa comporta, significa, essere insieme donna, manager e creativa?
Sono sempre stata affascinata dal concetto di “alterità” in tutte le sue accezioni: essere altri da sé stessi, altri dagli stereotipi imposti…altri e quindi diversi. Da poco – grazie alla ONG con cui opero, Parma per gli Altri – ho lanciato un’iniziativa rivolta ai giovani delle scuole e dell’Università che si chiama “Chi sono gli Altri per te?”; un progetto in cui ai ragazzi chiediamo di raccontarci cosa significa per loro questa categoria attraverso una fotografia, un video, una poesia o un racconto. Alla base dell’idea, c’è l’intento di passare da un’interpretazione dell’alterità come “distanza, nemico, lontananza”, che genera conflitti, ad una che la considera una fonte di arricchimento. Un percorso interessante su questi temi lo sta facendo ad esempio anche Barilla, azienda con cui collaboro specie sul fronte della comunicazione corporate. Si tratta, comunque, di una tematica affascinante, complessa, importante.
Tornando alla tua domanda, essere donna, manager e creativa insieme, per me, significa essere tre volte quello che sono capace di essere e, al centro di tutto, si trovano sempre e comunque le relazioni con le persone. Questo è il focus. Oggi, non esiste più il B2B (business to business) e il B2C (business to consumers): adesso, abbiamo il H2H (Human to Human).
5. Natalia, nel tuo lavoro, immagino tu sia a stretto contatto con donne e uomini. Secondo la tua esperienza, le squadre miste sono vantaggiose e, nello specifico, quali sono gli elementi positivi che portano gli uomini e quali le donne. Inoltre, viceversa, quali credi siano i fattori più complicati/critici da gestire collegati al gender nei team misti?
In The Ad Store Italia, c’è una prevalenza femminile. In Binario – l’altra società del mio gruppo che si occupa di PR e Media Relation -, addirittura, siamo tutte donne tranne Marco, il mio socio e Direttore Generale dell’agenzia (che sopravvive beato fra le donne 🙂 ). In realtà, io credo che i team misti siano generalmente i migliori.
Ma quando mi chiedono che differenze esistano fra uomini e donne nel modo di affrontare il lavoro, o se è meglio lavorare con le prime o con i secondi, io – che faccio sempre fatica a generalizzare – penso che quello che mi piace sono certi aspetti femminili, che possono però essere spesso presenti negli uomini e a volte non emergono in certe donne: la sensibilità e profondità, la capacità di leggere le sfumature, la determinazione e la concretezza intelligente. Ecco, queste cose sono, per me, il bello di vivere e lavorare al femminile!
6. Natalia, nel ringraziarti per la tua disponibilità, vorrei farti un’ultima domanda: ad una giovane donna che oggi si affaccia al mondo del lavoro – e magari proprio al panorama creativo – che consiglio daresti?
Io le darei 3 consigli: 1. imparare il grande segreto di valorizzare i propri punti di forza anziché investire tutte le energie nel tentativo di correggere quelli che crediamo essere i nostri punti di debolezza per emulare gli altri. 2. Non dimenticare mai che il lavoro è parte della nostra vita e non esiste una donna veramente appagata nella professione se poi è frustrata nella propria vita sociale, familiare, personale. Le due cose sono indissolubilmente unite. 3. Cercare di usare la grande arma dell’ironia e dell’autoironia, ma mai per distruggere bensì sempre per costruire relazioni vere e profonde.