Oggi, vogliamo prendere spunto da un post de “La 27 ora”, il  blog del Corriere della Sera, per fare insieme una riflessione.

Il titolo dell’articolo è “La svolta del potere delle donne italiane” e  il suo contenuto molto interessante: al di là degli importanti “consigli” offerti per migliorare la condizione occupazionale femminile – come l’esigenza di una maggiore flessibilità nei tempi del lavoro o quella della deducibilità dei costi di cura sostenuti dalle famiglie (che, finalmente, darebbe un senso, renderebbe comprensibile, mantenere un secondo stipendio) – una parte del post ci ha colpito:

E dunque il valore della crescita femminile va difeso da alcune insidie, magari invisibili. Prima fra tutte il rischio di un’omologazione strisciante, o anche immediata, rispetto a chi ha avuto il controllo esclusivo del potere per secoli. Le donne, anche perché in forte minoranza e di conseguenza sotto osservazione speciale, finiscono a volte per assorbire i difetti dei vertici tradizionali: vengono cooptate nei nuovi ruoli e si uniformano alla classe dirigente preesistente. Non rompono gli schemi organizzativi, non cambiano il linguaggio, non innestano un’identità e un’energia proprie. Il paradosso è che, attraverso questa complicità più o meno consapevole, il potere maschile si «rigenera».

Oggi, sembrerebbe che le cose stiano lentamente migliorando per le donne, che ci sia una svolta in corso: 31% di Deputate e Senatrici in Parlamento dal 2013, 8 Ministre su 16 al Governo, le capolista alle elezioni europee; e, ancora, le manager nominate ai vertici delle società quotate in Borsa, le alte funzionarie di alcune aziende pubbliche strategiche, le 5 rettrici (su 78, ancora pochissime) alla guida di università influenti. Però, al contempo, la maggiore presenza femminile non sembra portare necessariamente a un cambiamento di “cultura”.Le sensazioni dominanti sono due:

  • Le donne che sono riuscite ad arrivare a certi “traguardi”, vertici,  ce l’hanno fatta al prezzo di sacrificare la propria parte femminile, hanno insomma adottato uno “stile maschile” di comunicazione, leadership, gestione del tempo etc.
  • Le donne che sono riuscite ad arrivare a certi “traguardi”, vertici, non fanno molto per aiutare le altre donne, per diffondere una reale cultura del gender balance, quindi, non insistono sul valore della diversità di genere come potenzialità.

Non vogliamo aggiungere altro. Desideriamo, semplicemente, lasciarvi questo spunto di riflessione: più donne sì, certo, ma anche più donne (e uomini) che intendano cambiare il modo di pensare e lo fondino non sul concetto di omologazione ma di valorizzazione della diversità.