Per la rubrica del martedì in cui vi consigliamo un libro, oggi vi parliamo di “Volevo essere una farfalla” di Michela Marzano.
Michela è una donna coraggiosa perché ha accettato le sue fragilità e non le ha negate; anzi, ad un certo punto, ha imparato a conviverci e, in questa suo viaggio, ha scelto di amarsi (accettarsi) con tutte le incongruenze del caso, con tutti gli spigoli e i buchi neri che noi donne abbiamo; e, forse, è riuscita persino ad essere felice, a modo suo.
Il filo condittore di tutto il testo è rappresentato dai disturbi alimentari, dall’anoressia, che ha scandito le tappe della vita di Michela. La malattia è, al contempo, il punto di partenza per riconsiderare (finalmente comprendere, significare) la propria esistenza e sintomo di qualcosa di più profondo che desidera (pretende!) venire a galla…una storia, quella della protagonista, che – potremmo dire – ad un certo punto, chiede di essere raccontata, e lo fa con urgenza. Del resto, l’anoressia, in molte circostanze, altro non è se non il sintomo di ferite non fisiche ma emotive/psicologiche e, spesso, l’ennesimo modo in cui le donne, umiliando il proprio corpo, esprimono la non accettazione, il senso di inadeguatezza e, forse, chiedono aiuto anche se farlo è difficile.
Michela, in queste pagine, ripercorre le tappe della sua vita: una figlia tanto voluta, una bambina molto amata, che però ha speriementato la sensazione di non sentirsi mai davvero all’altezza delle aspettative, di non essere perfetta. E questa assurda ricerca della perfezione – una perfezione che non esiste o che, se esiste , risiede proprio nell’imperfezione, nella particolarità e nella diversità – è una tematica molto femminile, troppo femminile. Troviamo la figura del padre, un genitore che potremmo definire “ingombrante” e, poi, tutta una galleria di uomini che Michela ha amato…o, magari, ha solo creduto di amare perché – si sa – l‘anoressia, in fondo, nasconde il suo contrario, ovvero la fame, una fame intensa, di cibo ma, anche, di vita, soprattutto di amore.
Gli anni universitari. Una studentessa brillante la Marzano, così brillante che, nel tempo, è divenuta Professoressa Ordinaria di Filosofia all’Universitè Paris Descartes e, quindi, i viaggi fra l’Italia e la Francia; un andare e un ritornare che l’hanno resa, insieme, italiana e francese ma, in un certo senso, sempre straniera qui e lì. Il desiderio di maternità che, probabilmente, rimarrà sempre una mancanza, una potenzialità non realizzata ma, anche, qualcosa che non si è cercato con la giusta determinazione; o, semplicemente, la vita a volte va come sogniamo e altre come possiamo. Il lento imparare ad amare, e ad amare nel modo giusto (la tematica dell’amore erroneamente creduto da meritare torna in altri testi della Marzano), fino all’incontro con l’attuale marito; il percorso di analisi e, infine, una sorta di porto, di approdo…
A differenza di prima, lo so che non posso fare tutto. Conosco i miei limiti. E in fondo li accetto. Perché quando mi accascio e la paura di crollare mi invade di nuovo, ora, sono capace di fermarmi. So che basta respirare un po’, riposarmi, aspettare che tutto passi…
E poi ho imparato a fare quello che voglio senza sentirmi in colpa, anche se è banale, stupido, senza senso…
Non sono più irreprensibile. Al contrario. Sono piena di contraddizioni e di difetti. Ma oggi ne sono consapevole e comincio pian piano ad accettarlo.
E forse l’unica cosa che ho veramente capito: nella vita non si può fare altro che accettarsi. Ed essere indulgenti.
E perdonarsi.
Volevo essere una farfalla – un titolo che dice già tutto: volevo essere leggera, quasi scomparire – è una biografia, intima e schietta, che merita di essere letta.