Le donne italiane – ma non sono le uniche, se questo può essere di consolazione – non sanno usare i diritti: ecco il succo di questo libro.
Con questa affermazione – che troviamo nella prefazione scritta da Nadia Urbinati – si apre il libro Ma le donne no. Come si vive nel Paese più maschilista d’Europa di Caterina Soffici.
L’autrice, nell’introduzione, ci racconta che questo testo nasce da un’operazione di raccolta, collezione: per dieci anni, Caterina ha ritagliato e conservato articoli di giornale inerenti tematiche quali il soffitto di cristallo, la conciliazione etc. Ad un certo punto, si è resa conto che quel materiale – in un certo senso – denunciava un’anomalia nel panorama delle democrazie occidentali dal momento che la condizione femminile è lo specchio di una società.
Più le donne sono emancipate, più quel paese è libero e democratico. E invece quegli articoli fotografavano un paese dove le donne non lavorano, non fanno più figli, non fanno più carriera. Storie, tabelle, dati, sfilze di numeri che descrivono le donne ultime in tutto: in politica, negli uffici, nei ruoli di potere, nei consigli di amministrazione. Mogli sottomesse, lavoratrici discriminate, mobbizzate, ossessionate dalla pulizia, dall’ordine e dalle faccende domestiche. Donne precarie senza uno straccio di legge che le tuteli, che tuteli la loro maternità e i loro diritti. Questo era il paese reale, queste erano le donne italiane di tutti i giorni. E io mi chiedevo: perché le donne italiane hanno smesso di lottare? Perché non reagiscono?
Certo – ci dice la Soffici -, accanto a questo panorama non esaltante, reso ancora più desolante dall’immagine femminile stereotipata che i media restituiscono (a riguardo, vi anticipiamo che presto vi proporremo la recensione di un interessante testo “affine”, ovvero Il corpo dell donne di Lorella Zanardo), esistono anche le donne che “ce l’hanno fatta”. Eppure, un elemento dovrebbe far riflettere: non solo quelle storie sono “poche” – o, comunque, non abbastanza, non la maggioranza – ma, soprattutto, sono raccontate con stupore, incredulità…sono – potremmo dire – un’eccezione e non certo la regola.
Leggendo questo libro, l’impressione che si ha è abbastanza netta, nitida, chiara e precisa: nell’ultimo ventennio, la condizione femminile, invece di seguire un iter di miglioramento/evoluzione, è peggiorata. In una simile situazione, si mischiano due elementi sino a non riuscire più, quasi, a determinarne i confini, le reciproche influenze, la differenza fra causa ed effetto. Da un lato, troviamo una generale “involuzione”; e, dall’altro, una diffusa “resa”; quindi, viviamo, grosso modo, in una società disegnata sotto vari punti di vista a misura di uomo e – forse il dato più allarmante – sembrerebbe che le donne si siano abituate, adeguate, rassegnante a quello che (erroneamente!) viene percepito come uno status quo.
Vi auguriamo buona lettura, facendo nostro l’interrogativo dell’autrice: perché le donne italiane si sono rassegnate? E -vogliamo aggiungere -, ora, nell’immediato e nel concreto, quali azioni si dovrebbero – anzi si devono – intraprendere per migliorare la condizione femminile?