Su La Repubblica di oggi, è comparso un articolo dal titolo Donne così single, così felici scritto da Vera Schiavazzi.
Sarà vero?
Dati alla mano, in Italia, sono 4 milioni le donne che vivono sole. Sembrerebbe che questa condizione – in passato avvilente, a cui si dava l’etichetta di zitellaggio – oggi, sarebbe quasi auspicabile. Magari, sarebbe auspicabile e basta, senza il “quasi”.
Nubile, signorina, zitella e single sono tutti sinonimi di un medesimo status (ovvero l’assenza di un partner) ma – dal momento che la lingua non è uno strumento neutro bensì carico di valutazioni qualitative più o meno implicite – zitella (da zita, ragazza ma anche fidanzata in molti dialetti del Sud) sarebbe più “offensivo”, meno gradevole, di single. Sicuramente, il comune sentire è stato influenzato da vari fattori: accanto a una “emancipazione” che si è realizzata (si sta realizzando) grazie al fatto che oggi le donne studiano e lavorano (non dipendono più quindi da un uomo), troviamo inoltre fenomeni di costume: chi non ha mai sentito parlare di Sex and City? Il telefilm in cui 4 belle e brillanti amiche sono soddisfatte della loro vita senza la presenza maschile, anzi, con una presenza maschile che potremmo definire “occasionale”. In Sex and City gli uomini ci sono, spesso le protagoniste se ne innamorano addirittura, ma infine sono sempre loro 4 a dettare le regole del gioco, a dimostrarsi donne determinate, ribelli, sicure e autonome. Un modello, insomma, che ha affascinato anche tante di noi…e poco importa se le nostre città, le nostre vite e i nostri portafogli non abbiano molto in comune con Manhattan e i sandali Manolo Blahnik. Le donne, spesso, desiderano sognare e finiscono per identificarsi con queste affascinanti e spensierate single.
Al di là del dato linguistico, l’articolo mostra come sotto certi punti di vista siano cambiate le percezioni culturali: la variazione sarebbe collegata al fatto che oggi ci sono sempre più donne che scelgono di non sposarsi (o, comunque, di non fidanzarsi), convinte di vivere meglio così. Ho però scritto “sotto certi punti di vista” e non “sotto tutti” perché – nonostante queste donne si dichiarino felici della loro condizione – vanno incontro ancora a delle barriere e, non in ultimo, una di queste è rappresentata dal fattore economico: per la spesa, l’affitto etc., in proporzione, i single spendono di più delle famiglie. A questo punto, però, si potrebbe obiettare che quanto detto vale anche per gli uomini e non solo per le donne. Di per sé, l’osservazione è giusta, con la differenza che uno scapolo viene percepito “più normale” di una zitella, anzi…uno scapolo ha un qualcosa di affascinante per un certo diffuso immaginario! A uno scapolo, con meno frequenza, vengono rivolti sguardi di pietà (“poverina, è sola!”) o, al contrario, di invidia (“beata lei che non ha una famiglia da accudire ed è libera di divertirsi!”) Come se, insomma, il non avere un compagno sia un grave peccato, una profonda sfortuna o un enorme privilegio. Come se – mi viene istintivamente da pensare – ci sia sempre una netta dicotomia fra il giusto e lo sbagliato, il bianco e il nero e la vita non fosse invece una combinazione fra quello che decidi e quello che ti capita. La vita come mediazione fra il tavolo a cui decidi di sederti e le carte che ti capitano fra le mani, in breve.
Prossimamente, uscirà un libro, Le scelte che non hai fatto, di Maria Perosino (già autrice di Io viaggio da sola, un testo di cui presto vi proporremo la recensione perché – fra ironia, utili consigli e interessanti considerazioni – merita sicuramente di essere letto), e nell’articolo se ne cita un passo:
Le cose che lasciamo indietro – fidanzati che non diventano mariti, amori che finiscono, bambini ai quali abbiamo pensato ma che non sono mai nati – fanno parte della nostra storia. Che però è andata diversamente senza che la si debba rimpiangere.
Ecco, forse, il succo è proprio questo: non vivono meglio le donne che hanno costruito una famiglia o quelle che hanno edificato la propria esistenza sull’indipendenza. Probabilmente, sono solo due strade e il vivere meglio consiste nel poterne percorrere una senza sentirsi sbagliate, imperfette, in difetto, ma libere di essere (e di esserci) come si crede, e come si può.